La domanda che spesso ci si pone è se ha ancora senso incontrarsi fisicamente anche a costo di faticosi e dispendiosi spostamenti nell’era della comunicazione digitale. Nel periodo precedente alla pandemia l’industria MICE (L’acronimo MICE sta per Meetings, Incentives, Conferences and Exhibitions (riunioni, incentive tour, conference ed esposizioni) stava vivendo un’era di grande sviluppo il che potrebbe apparire contraddittorio con le possibilità delle nuove tecnologie di trasferire contenuti e conoscenza. Al contrario, come nel suo insieme queste righe vorrebbero dimostrare, l’incontro di persona è in larga misura insostituibile anche se può essere affiancato da nuovi strumenti.
Le tecnologie digitali promettono miracoli ma dobbiamo fare attenzione ai rischi ed ai trabocchetti che ci pongono. In un discorso all’Hampton University in Virginia nel 2010 Barack Obama ha descritto il bombardamento mediatico cui siamo quotidianamente sottoposti e ha messo in guardia gli studenti dall’uso eccessivo di terminali digitali che finiscono per trasformare l’informazione in una forma di diversivo intrattenimento e non al contrario in una occasione di emancipazione del cittadino.
Ovviamente Obama non intendeva scoraggiare l’adozione delle nuove tecnologia quanto invitare gli studenti a sviluppare le strategie necessarie ad orientarsi nel mondo della comunicazione digitale.
Dobbiamo quindi essere attenti a non trascurare e svalutare la qualità della relazione personale soprattutto ai fini dell’apprendimento.
Moreno parla di una “teoria della spontaneità dell’apprendimento” collegando l’apprendimento non solo alla tonalità affettiva dell’esperienza da cui l’apprendimento discende ma allo stato di spontaneità in cui l’esperienza stessa è stata vissuta.
Moreno pensava che lo stato di spontaneità predisponga all’apprendimento sia prevalentemente associativo sia legato ad obiettivi, consentendo una particolare plasticità delle funzioni cognitive.
L’addestramento alla spontaneità non è un evento dissociabile dal contesto in cui avviene: ”la spontaneità non opera nel vuoto, bensì si manifesta in relazione a fenomeni già strutturati, a modelli culturali o sociali prestabiliti”[1]. Il processo di apprendimento, che la spontaneità favorisce, è un’esperienza vissuta in forma collettiva. È il prodotto del concatenarsi e dell’intersecarsi dinamico di tutte le forze che direttamente o indirettamente agiscono sul soggetto, è il prodotto di una catarsi psichica che Moreno chiama catarsi di integrazione.
Moreno trova incompleta la spiegazione della psicologia collettiva dell’individualità nel contesto di massa e anche della psicologia individuale che tende a interpretare i fenomeni collettivi mediante strumenti conoscitivi elaborati nell’osservazione psicologica del singolo.
Se Moreno, che non ha avuto la fortuna di conoscere Internet, la ricerca deve orientarsi verso lo studio dell’interazione di gruppo, e sottolinea l’importanza dell’ambiente e della tonalità affettiva al fine dell’apprendimento, nell’era digitale ci confrontiamo con un aumento esponenziale delle occasioni di relazione vissuto in un clima frenetico e superficiale.
Nicholas Carr giornalista scientifico ed ex direttore dell’Harvard Business Review scrive a proposito dell’era digitale:”Il nuovo mondo rimarrà, naturalmente, un mondo letterato, arricchito dei simboli famigliari dell’alfabeto, ma nel quale non possiamo tornare al mondo perduto della comunicazione orale cosi come non possiamo far tornare le lancette dell’orologio al tempo in cui non esistevano gli orologi. [… ]Il mondo dello schermo, come ci stiamo accorgendo, è un luogo molto diverso dal mondo delle pagine. Una nuova etica intellettuale si sta affermando, i percorsi della nostra mente sono ancora una volta re-instradati “[2]. Secondo Carr solo apparentemente le comunicazioni delle chat, dei blog, dei forum, stanno tornando ad assomigliare a quelle dei tempi della comunicazione orale essendo più informali e colloquiali. Questo è solo un dato apparente perché la comunicazione orale avveniva di persona e non attraverso un intermediario tecnologico. Riprendendo Walter Ong, Carr afferma che “Il mondo orale non esiste in un contesto puramente verbale, così come succede per le parole scritte. Il parlato da sempre luogo ad una trasformazione della situazione esistenziale, che coinvolge sempre il corpo. L’attività del corpo al di là della mera vocalizzazione non è accidentale o artificiosa ma naturale e anche inevitabile“[3]
La virtualità ci espone a geografie più fluide in cui possiamo relazionarci senza limiti di prossimità e mettendo in crisi uno dei paradigmi individuati da Leon Festinger. In un saggio[4] del 1950, ampiamente citato nel seguito di questo lavoro, Festinger afferma, supportato da verifiche sperimentali, l’importanza della prossimità fisica e funzionale nello stabilire nuove relazioni. In questo modo alimentiamo un circolo vizioso rafforzando la stessa gabbia sociale che ci rinchiude ma, d’altro canto, abbiamo la tendenza a circondarci di persone, che hanno lo stesso status, che ci confermano nel ruolo che ci piace assumere, che hanno i nostri gusti, vestono come noi, sono della nostra etnia, etc.
Già il passaggio dalla vita comunitaria alle società moderne ha aumentato i diritti individuali e la nostra libertà: possiamo scegliere in base alle nostre opinioni dove vivere e con chi vivere ma abbiamo meno opportunità di confrontarci con chi è diverso da noi.
Le moderne tecnologie dell’informazione hanno ancora di più accentuato questo livello di libertà per cui oggi è relativamente facile costruirsi un “ambiente relazionale” basato sulla omogeneità delle opinioni.
Pensiamo agli orientamenti sessuali, fino a pochi anni fa la normalità era un concetto fondato su un grado di condivisione sociale piuttosto elevato e gusti o tendenze difformi erano facilmente oggetto di condanna generando emarginazione e ghettizzazione dei diversi.
Internet facilita enormemente la creazione di comunità virtuali dove è possibile condividere con persone simili la propria esperienza trovando la forza di reagire alla pressione sociale tendente all’omologazione.
Howard Reinghold giornalista e saggista americano è stato forse il primo, già negli anni’80, a parlare di comunità virtuali: “Le comunità virtuali sono aggregazioni sociali che emergono dalla rete quando un certo numero di persone porta avanti delle discussioni pubbliche sufficientemente a lungo, con un certo livello di emozioni umane, tanto da formare dei reticoli di relazioni sociali personali nel ciberspazio” [5] H. Reinghold è fin da subito un sostenitore delle potenzialità offerte dai nuovi strumenti tecnologici mettendo in evidenza come le nostre identità virtuali ci possono liberare dai limiti del mondo reale per dare vita a comunità transculturali ed eliminare le distanze tra centri e periferie. In riflessioni più recenti sembra, tuttavia, aver maturato una visione più critica in cui accanto al potere di emancipazione degli individui vede i rischi di una società che non sà più confrontarsi con la diversità e che in definitiva cerca il rispecchiamento e la conferma perdendo la capacità di evolversi ed apprendere.
È molto raro nella vita di tutti i giorni, anche se non impossibile, che noi facciamo delle scelte a prescindere dal nostro gruppo e dal nostro ruolo sociale, spesso scegliamo per come pensiamo di dover scegliere, con il solo fine di soddisfare l’aspettativa che si è
Almeno da questo punto di vista possiamo dire che quando Leon Festinger affermava che “La tendenza a confrontarsi con altre persone diminuisce in modo direttamente proporzionale all’aumentare della differenza tra proprie opinioni e abilità e quelle altrui“[6] evidenziava una dinamica non ancora smentita e che anzi mostra tutto il suo potenziale di rischio nell’era digitale.
A queste critiche possiamo aggiungere ancora un’aggravante legata ai meccanismi di indicizzazione e di ricerca nella rete, per cui siamo costantemente forzati a rappresentarci con parole chiave costringendo il nostro universo pulsionale in una griglia alfabetica di indicizzazione che fissa i nostri gusti in una tassonomia delle tendenze e degli orientamenti che, seppur variegata, difficilmente rappresenta la complessità delle identità umane e soprattutto le registra, oltre che nella forma, nel tempo, in quanto ciò che vive su internet, al di là della volatilità apparente, si replica nel tempo e sopravvive al mutare delle nostre inclinazioni.
Raffaele Simone nel recente libro Presi nella rete per descrive questo fenomeno, già iniziato con l’affermarsi della scrittura ma esponenzialmente più significativo con la manipolabilità del dato digitale, si richiama ad Elizabeth L. Eisestein[7]. “Eisenstein, tra le innovazioni che la stampa produsse nella conoscenza, elenca le seguenti: si modificarono gli strumenti della memoria (per esempio non furono più necessarie rime e cadenze per ricordare formule e ricette), si sviluppò l’uso delle immagini stampate a fini mnemonici ed esplicativi, e quindi si rese possibile la produzione di trattati tecnici (nei quali si potevano usare numeri, diagrammi e mappe) per la diffusione di conoscenze pratiche; si diffuse la tradizione dell’ordinamento e della classificazione dei dati e delle informazioni, favorendo così la nascita di risorse pratiche come schedari, indici analitici, repertori e simili“[8]
Questo processo di indicizzazione è quindi il prodotto di una evoluzione ancora più vistosa e vasta e che riguarda la superficialità con cui ci appropriamo delle informazioni provenienti dalla rete proprio per la loro continua disponibilità.
Sia Nicholas Carr che Raffaele Simone citano a proposito lo stesso passo del Fedro di Platone: “Platone racconta il mito secondo cui il dio Theuth inventò i numeri, il calcolo, la geometria, l’astronomia, il gioco del tavoliere e dei dadi, e, infine, anche la scrittura, e poi andò da Thamus, re d’Egitto, per annunciargli che bisognava insegnare al suo popolo tutte queste cose. In particolare la scrittura, che secondo Theuth, sarebbe stata ‘il farmaco della memoria e della sapienza’, perché, secondo il dio, essa era in grado di alleggerire la memoria degli uomini, che fino a quel momento avevano dovuto ritenere a mente le conoscenze, e di favorire lo sviluppo del sapere.
Thamus reagisce bruscamente alla proposta di Theuth, riflettendo in ciò la posizione di Platone stesso. La scrittura non sarà il farmaco della memoria, dice, ma servirà solo a favorire l’oblio e la presunzione delle persone che l’avranno imparata, perché: ‘della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità; divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, essi crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre, come accade per lo più, in realtà non le sapranno'(275 A-B) La ragione di ciò e che gli uomini ‘fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se stessi. (274 A)“[9] Per Simone Platone descrisse quello che in forma ben più netta si sta manifestando nel rapporto tra la noosfera (sfera del pensiero umano) e la mediasfera (sfera dei mezzi di comunicazione) “Suggerendo che non si può introdurre un nuovo medium che abbia a che fare con la mente senza produrre degli effetti sulla mente stessa“[10]
La conclusione più immediata ai fini di questo breve scritto è che l’accesso distribuito e in tempo reale a quantità di dati fino ad oggi inimmaginabili crea enormi problemi di organizzazione, ordinamento, interpretazione del dato stesso e rende impossibile dominare in forma sintetica la conoscenza così prodotta. Il sapere diventa via via più piatto e spersonalizzato, l’analisi inevitabilmente statistica, aprendo alle tecniche cosiddette dei big data.
Abbiamo sempre più bisogno di bussole che ci aiutino ad orientarci e queste non possiamo che ritrovarle nel riconoscimento del valore sociale della conoscenza e quindi nel rapporto umano e nella costruzione di reti relazionali e di comunità.
Violeta Raileanu
psicologa e psicodrammatista
[1] Moreno, J.L., Principi di sociometria di psicoterapia di gruppo e sociodramma, Milano, Etas Kompass, 1964.
[2] Carr N., The Shallow, What Internet is doing to our brain, W.W. Norton & Company inc. N.Y. 2010
[3] Ong W. J., Orality and Literacy, Routledge, London 1991, pagg. 67-68 citato da Carr N.
[4] Festinger, Leon, «Informal social communication.», Psychological Review, vol. 57, fasc. 5, 1950, pp. 271–282.
[5] Howard Rheingold, Comunità virtuali. Parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio. Spearling & Kupfer Editori, Milano 1994.
[6] Festinger, Leon, «A theory of social comparison processes», Human relations, vol. 7, fasc. 2, 1954, pp. 117–140
[7] Eisestein E.L, Le rivoluzioni del libro, L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Società Editrice il Mulino, Bologna 1997
[8] Raffaele Simone, Presi nella rete, La mente ai tempi del web, Garzanti Libri S.p.a., Milano 2012
[9] Raffaele Simone, Presi nella rete, La mente ai tempi del web, Garzanti Libri S.p.a., Milano 2012 pag.151/573
[10] Ibid